[commento richiestomi e pubblicatomi, ma con altro titolo, dal Il Giornale di Sardegna, nel periodo in cui Renato si era messo in testa di regalare le miniere del Sulcis per farci alberghi e campi da golf]
Il 4 maggio 1871, nella miniera di Montevecchio, un gruppo di donne, finito il duro lavoro, tornò al dormitorio. Era il luogo della solidarietà, della condivisione, ma anche delle liti furibonde: per un po’ di pane, di lardo, un uovo, una cipolla. Erano fame e sofferenza.
L'inverno la stagione più temuta. Fortuna che era finito!
Da poco era stato costruito un serbatoio per l’acqua della vicina laveria, sopra la baracca.
Alle 18,30 venne giù. Sfondò il tetto. Ne uccise undici.
La più vecchia cinquanta anni, la più giovane dieci.
Non risultarono responsabilità, «essendo che l'ingegnere stesso al quale sono affidati gli esterni lavori dello stabilimento pochi minuti prima della catastrofe passeggiava fiducioso sull'argine rovinato del serbatoio», chiarì il sottoprefetto.
La moglie dell’industriale brianzolo, nella camera dell’Albergo dei Minatori Golf Club di Naracauli, 140 anni dopo, tirò la maniglia dello sciacquone.
Le stanze erano very trendy, impregnate di sardità. Pietre e legni ricercati.
Come un secolo prima, l’acqua venne giù furente. Costellando di schizzi la gonna di Prada.
Adirata, chiamò il boy della reception, che, mortificato, si scusò con accento settentrionale. Era sardo. Risultarono responsabilità della chambermaid e del manutentore.
Il maelström del cesso si era risucchiato la dignità di un popolo.
Fin dagli indomiti Shardana, navigatori guerrieri, l’acqua, in farsa e in tragedia, aveva segnato il povero destino dei sardi. Rubata alle comunità, innaffiava placida il green oltre la finestra.
Mettiamola così. C’è un parco che non funziona e amministratori che chiedono sviluppo.
A nessuno passa per la testa che ci siamo sviluppati fin troppo, siamo quel quinto di umanità che divora quattro quinti delle risorse del pianeta, la corsa all’accaparramento provoca le guerre, avanti di questo passo il tracollo socio ambientale sarà inevitabile, si debba, e si possa, aumentare il ben essere tramite ridistribuzione e cura anziché saccheggio?
Duecentosessantamila metri cubi di cemento. Quattro posti da cameriere. Bonifica a spese della collettività. E costerà, ammettono, da dieci a cento volte il ricavato della vendita. Un capolavoro.
La terra piano piano si è ripresa quei luoghi. E quelle rovine, monumento al dolore e alla fatica, custodiscono le nostre radici. Un patrimonio enorme in termini ambientali, culturali, identitari.
Regaliamolo a lorsignori.
giovedì 31 luglio 2008
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