sabato 17 agosto 2013

Un nuovo femminismo nonviolento?

In fondo non c'è da stupirsi che esista Marco Cubeddu (qui) - che scrive bene com'io saprei bene progettar droni -, o che ci sia, nella nostra bella Italia, perfino chi gli paghi uno stipendio perché lo faccia.
Quel che stupisce, o forse nemmeno, è che ci siano persone, e tante, disposte a perdere tempo ed energia, per discutere, confutare, stigmatizzare quel bel concentrato di (pericolose) banalità che ci propone.
Non lo conosco, né farò l'errore anch'io di consumare del tempo per conoscerlo. Potrebbe anche non credere a quel che dice (in fondo, così, ha ottenuto il suo bel quarto d'ora di notorietà). La mia opinione è che ci creda: sono parole, le sue, che vengono, diciamo così, dal cuore.

Angelino Alfano ci fa sapere che un terzo degli omicidi, in Italia, ha come vittima le donne. Per riderne, potremmo obiettare che, essendo i restanti due terzi costituiti da uomini, il femminicidio cosiddetto, non sarebbe poi quell'emergenza che ci vogliono far credere.
Ma c'è poco da ridere.

Il mondo è bello, si sa, perché avariato. E la mia libertà dovrebbe terminare dove comincia la tua. Anche se i confini sono labili e spesso tracciati col sangue (di chi ci ha aperto la strada e talvolta la mente) e secondo logiche di dominio (patriarcale, culturale, economico, eccetera eccetera).
Di fronte alle esibite grazie della principessa Cunegonda, un Candido qualsiasi può reagire in mille modi differenti. Piacere, disinteresse, indignazione. Ma tutto dovrebbe rimanere entro i limiti del rispetto delle idee (tantopiù se diverse dalle nostre) e delle persone (tantopiù se diverse da noi). Il resto è nevrosi.

Forse Cubeddu ha un merito. Ci ha raccontato con semplicità quello ch'è il pensiero (malato) dominante e ricorrente del maschio italiano (anche di sinistra, anche radical chic, anche "nonviolento") e quindi della società italiana tutta (anche delle donne in larga parte).

Magari è solo folklore.
Magari no. E da qui alla violenza (o almeno alla sua giustificazione, alla sua assimilazione) il passo è breve. Molto breve.

Non servono tanto leggi, quanto cultura, "condivisione e inclusione", "buon esempio".
Non serve una società dove le donne siano costrette a togliersi il burqa (perché lo decidiamo noi e l'imponiamo a suon di bombe) né una dove siano costrette a metterlo (perché fa finta di chiedercelo con freudiana piroetta il buon Cubeddu).

Una società che si interroghi su come debbano vestire le donne è ancora una società malata.
Ancora battaglie (di uomini) sul corpo martoriato delle donne.

Serve un nuovo femminismo, per uomini e donne di buona volontà, che sappia guardare, e parlare, al mondo con gli occhi, la mente, il cuore della nonviolenza.

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