martedì 26 marzo 2013

Il riso di Pierluigi, il pianto di Pierpaolo

Ieri ho partecipato ad un'assemblea sindacale di operai metallurgici.
Esistono ancora operai metallurgici (se in casa avete il frigorifero e in garage la macchina non lo dovete a Bersani ma ad un operaio metallurgico che guadagna, quando gli gira bene, la ventesima parte di quel che guadagna l'ottimo sorridente Pierluigi stringentemani). Anch'io, grossomodo, sono operaio metallurgico.
La storia è sempre la stessa, da quindici o venticinque anni. Ma forse ha origini più lontane.
C'era la guerra e c'era la fame. Questo insegnò la vita ai nostri genitori. E i nostri genitori in qualche modo la insegnarono a noi. Ma noi - e c'era stato il Sessantotto e il Settantasette, poi erano venuti Reagan, Craxi, Berlusconi - non sapemmo più insegnarla - "i ventri obesi e le mani sudate, i cuori a forma di salvadanai" - ai nostri figli. E, non essendoci più le lucciole, la campagna era desolata, mentre le luci elettriche della città sfavillavano seducenti di mille colori.
Fu così che i lupi (due gambe cattivo, quattro gambe buono) si impadronirono del mondo.
Le imprese servivano a far arricchire lorsignori: spremute come limoni, poi gettate via.
Talvolta erano statali. Bisognava prima regalarle agli amici. Lì interveniva Pierluigi, a lenzuolate.
I lupi (due gambe cattivo, quattro gambe buono) non hanno cuore, qualche volta nemmeno cervello e, pur essendo "rapaci", sono di vista corta. Forse perché Dio è morto, forse perché Marx è morto, forse perché nessuno ha insegnato loro la vita, vengono su così.
Anni fa non c'era la Bocconi e c'era Adriano Olivetti.
Il dirigente non nasceva dirigente. Cominciava da giù, imparava il lavoro, poi, pian piano e sempre che non fosse un cialtrone, imparava a dirigere il lavoro. E da sopra, essendo stato sotto, capiva meglio quel che avveniva.
Ora c'è la Bocconi e c'è Giuliano Amato.
Il figlio di Giuliano (è solo un esempio) non può cominciare da giù: è una legge di natura.
Pazienza, se ci sono effetti collaterali. La vostra povertà, se siete poveri, è un effetto collaterale. Sgradevole ma inevitabile, ammetterebbe il socialista Giuliano Amato.
I nostri dirigenti sono dei cialtroni.
Può darsi che siate poveri perché un cinese ha preso ad essere ricco al posto vostro lavorando sodo ventitré ore al giorno. Può darsi invece che siate poveri perché il vostro vicino di casa, che non ha particolari doti umane, anzi è richiesto il contrario, ma è intimo di Denis Verdini (è solo un esempio), ha preso ad avere un tenore di vita esageratamente sfarzoso oziando ventitré ore al giorno.
Nulla si crea e nulla si distrugge.
Così va il mondo.
Ieri ho partecipato ad un'assemblea sindacale di operai metallurgici.
Quel che stupisce non sono le dinamiche orwelliane di riscrittura del passato. Il sindacato, per dirne una, accusa i lavoratori di aver tollerato il ricorso al subappalto, quando ieri, e contro i lavoratori, sosteneva che tale ricorso (e contestuali "cassa integrazione", licenziamenti per i lavoratori stessi) fosse "strategico" (e quindi auspicabile, e quindi da sostenersi, e di ciò voleva convincere i lavoratori) per l'azienda.
Ed infatti lo era, strategico. Per i padroni dell'azienda.
Le cose vanno bene.
Le cose vanno bene quando c'è un equilibrio dei poteri e gli interessi contrapposti sono regolati da una dialettica tra le parti. Dialettica anche violenta eppure dialettica.
Quindi le cose vanno bene. Da una parte c'è Confindustria, o Federmeccanica, o la Meretrice di Babilonia, che cura gli interessi dei padroni. Dall'altra c'è il Sindacato, o la Triplice, o la Trimurti, che cura gli interessi dei padroni.
Tutto va per il meglio. Ed infatti state perdendo il posto di lavoro mentre, nel gioco delle parti o nella dialettica degli interessi contrapposti se preferite, il comunista Luciano Uras suda sette camicie in Parlamento (sperando sia previsto anche il rimborso per le spese di lavanderia) per difendere i vostri diritti e voi ne sognate quando giunge la sera.
Fortuna che c'è Pietro Ichino.
Quel che stupisce non è la funzione di "ascensore sociale" del sindacato. Se non riesce a, per limiti culturali o non vuole per limiti finanche criminali, difendere i diritti dei lavoratori almeno riesce, e forse è rimasta l'unica entità capace di siffatti miracoli, a promuovere il singolo lavoratore che per furbizia, lungimiranza, pervicacia o (può persino capitare) incolpevole buona fede, abbia la ventura di cominciare quel percorso che da semplice rappresentante dei lavoratori (RSU) porta talvolta, ma a saperci fare, fino agli scranni di Montecitorio o Palazzo Madama.
Quel che stupisce (si fa per dire) è invece la mancata funzione di "ascensore culturale", ovvero, in parole povere, colpisce, il povero, ma di un povero che si fa grottesco, eloquio del sindacalista.
Ora, non c'è in me nessuna aristocratica (il mio pulpito sta molto in basso) volontà di infierire sul povero (io stesso lo sono) perché povero o sul povero perché ignorante (io stesso lo sono). Anche se, non fa male ricordarlo, l'edizione più prestigiosa dell'opera omnia di un Kafka, un Dostoevskij o un Voltaire (o tutte tre insieme) costa una frazione, e insignificante, del prezzo di un televisore al plasma e non sempre si trova nella casa dei poveri (e se fossimo alla radice del problema?). Il televisore al plasma sì, si trova. E pure l'abbonamento a Sky.
Voglio solo, nel mio piccolo, dire che c'è da ridere. Ed infatti, nelle assemblee, se ne ride. Di un riso amaro, però.
Perché quel linguaggio è solo lo specchio che riflette l'immagine del marziano antropologicamente mutato ch'è divenuto l'operaio, meglio, il sindacalista, oggi. Nell'epoca di Tweeter e di Facebook. E di Ballarò.
E in quel un mare increspato grigio scostante inquinato di aggettivi sballati, congiuntivi alienati, brillano, isole lussureggianti, libidinoso contrappunto, sempre a sproposito, citazioni, estrapolazioni fantasiose, deliranti interpretazioni del pensiero della Concita dal Santoro o dell'Irene dal Floris.
Esilarante quanto impossibile da descriversi. Nemmeno un Gadda saprebbe! Bisogna ascoltarlo.
E, ad averci l'ironia giusta e la giusta filosofia, ci convinceremmo che quello spettacolo di incolpevole maestria è esempio di inarrivabile teatro concessa solo a noi, classe operaia, privilegiata dunque, se solo per noi si rappresenta, e senza repliche, un'opera tale.
Non ci resta che ridere.
Chissà quanto, vedendoli sfilare con le belle bandiere, e sentendoli parlare, ne piangerebbe Pasolini.

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