Arriviamo sempre ultimi, talvolta nemmeno arriviamo.
Quando gli speculatori vengono dovunque finalmente scacciati, rimane sempre loro un’ultima spiaggia. La nostra.
Tanto per cambiare, stiamo regalando ad altri quel che abbiamo di più prezioso.
Centinaia e centinaia di torri eoliche sono in via di installazione in Sardegna, con benefici diretti ambientali od economici per la popolazione pressoché nulli. Ciò senza che gli amministratori locali si rendano minimamente conto degli aspetti critici; anzi, prontissimi, in nome di un malinteso ecologismo di facciata, a raccattare le briciole di un affare, vera e propria speculazione, che arricchisce smisuratamente imprese "continentali", favorite da una legislazione, il “decreto Bersani” (79/1999), che, con soldi pubblici, i nostri, droga il mercato dell’energia, sostenendo artificialmente l'eolico, anche a scapito di altre fonti rinnovabili meno “impattanti”, come il solare fotovoltaico.
I guasti provocati da queste installazioni sono enormi. Da un punto di vista simbolico, oltreché ambientale e paesaggistico. Ma con evidenti negative ripercussioni pratiche, quindi economiche, su turismo, agricoltura, allevamento.
Se ci pensate: e' il primo esperimento di industria diffusa.
In passato, l’impatto pur devastante dei complessi industriali era delimitato, arginato.
Ora assistiamo alla trasformazione di tutto il paesaggio, tutto il territorio, in “zona industriale”.
Guardatevi intorno. Non ci sarà più una parte di Sardegna ove non svettino, alte come palazzi di cinquanta piani, le enormi torri. Il paesaggio, che, pur con ferite, sempre più purulente ma circoscritte, era rimasto immutato per millenni, è perduto per sempre, nella sua globalità.
Era ferito. Ora è morto.
Alberi e pietre, sovrastati e violati da protesi elefantiache, in tecnica e metallo. Quella cupezza, carattere e fascino della nostra Terra, solo un ricordo. Non siamo più noi.
E non vi sembri poco.
L'industria ci aveva abituati.
Prima era una parte. Ora è il tutto.
Queste appariranno le farneticazioni di un romantico sognatore, ove si contrappongano i notevoli vantaggi economici ed ambientali, per la popolazione, derivanti dall’eolico.
Ci si tranquillizzi. Non ci sono.
Quelli ambientali persi per strada, quelli economici agli speculatori.
Si aggiungano le enormi fondamenta delle torri che interferiscono con le falde acquifere compromettendo l'equilibrio idrico dei terreni; le stragi di uccelli, ampiamente documentate, anche specie protette, per impatto notturno con le pale, e conseguente scomparsa, o abnorme proliferazione, di altre specie legate a questi nella catena alimentare, con danni all’ecosistema e alle coltivazioni; la desertificazione, riscontrabile con la scomparsa progressiva di forme di vegetazione, nelle aree di azione degli impianti, causata con ogni probabilità da scompensi nei processi di impollinazione per i vortici creati dal movimento rotatorio di enormi pale; a loro volta causa di rilevante inquinamento acustico.
Poi le infrastrutture connesse, elettrodotti, cabine di trasformazione, enormi vie d'accesso per mezzi di dimensioni straordinarie, atti al trasporto delle componenti, e relativi scavi, sbancamenti, disboscamenti, che, permettendo più facile accesso ai luoghi, aprono sovente la via ad inquinanti sport motoristici, al bracconaggio, a successive speculazioni edilizie, cementificazioni ulteriori.
Non ci si fidi di quanto qui si scrive. Si visitino impianti attivi da tempo. Si valuti.
Renato Soru, nella sua visione estetizzante dell’universo, da milionario trendy, trovò che le torri erano brutte, ed impose una serie di limitazioni, “di buon senso”, che le avrebbero confinate “in siti compromessi preferibilmente in aree industriali esistenti”.
Ma gli appetiti sono tali che le imprese hanno via via ottenuto, dal Tribunale Amministrativo, sentenze che annullano buona parte delle restrizioni imposte da Regione o Soprintendenze; o, dalla Regione stessa, l’annullamento con norme successive, “per autotutela”, dei vincoli stessi. Tanto che persino “risulta abrogata la disposizione del Piano Paesaggistico che sancisce il divieto della realizzazione di impianti eolici negli ambiti di paesaggio costieri”, (TAR Sardegna, aprile 2008).
Il regime di sovvenzioni italiano è unico in Europa, tale da attirare molti “investitori” esteri. Tanto conveniente che si installano torri anche dove non soffia vento. Paghiamo noi.
Bisogna sapere che la rete elettrica non può sopportare, dice l'ENEL, grossomodo, più del 10% di energia da fonte intermittente, com'è l'eolico a causa del vento che ora c'è e ora no; pena il malfunzionamento o, addirittura, il blackout.
Bisogna sapere che, per questa ragione, devono essere previste fonti di riserva tradizionali, quindi inquinanti, che entrino in funzione, con conseguenti costi economici ed ambientali, quando la domanda di energia cresca o il vento diminuisca.
Bisogna sapere che la Direttiva europea (2001/77/CE) che recepisce il “protocollo di Kyoto”, prevedendo per l'Italia, al 2010, un contributo del 22% di energie rinnovabili (FER) sul totale di energia elettrica prodotta, ammette, di fatto, un aumento delle fonti inquinanti proporzionale alla crescita delle FER.
Bisogna sapere che proprio questo sta avvenendo in Sardegna: basta leggere il Piano Energetico Ambientale (PEARS), che auspica e pianifica uno sviluppo preoccupante delle centrali a carbone, le più dannose per la salute e l’ambiente.
L'espansione dell'eolico, reale per installazioni e devastazioni, ma virtuale per intermittenza, limiti di accettazione della rete, mancanza di infrastrutture di connessione, finisce per mascherare quello che è un reale incremento delle fonti inquinanti.
Uno studio degli Amici della Terra per il Ministero dell'Ambiente fissava, per l’eolico, un potenziale massimo nazionale, sostenibile dalla rete, di 8000 MW; il PEARS stabiliva per la Sardegna un tetto di 550 MW; ma, al 2003, i progetti per nuove installazioni nell'Isola ammontavano già a ben 3735 MW: quasi la metà del limite nazionale.
La Sardegna produce più elettricità di quanta ne consumi. Il ricorso all’eolico potrebbe rappresentare un danno sopportabile, se potesse portare, e portasse, ad una simmetrica riduzione dell’utilizzo di fonti inquinanti. Avviene il contrario.
Ma, grazie agli incentivi, l’eolico rende oltre misura.
Tanto che il colosso britannico IP ha comprato al prezzo enorme di un miliardo e 830 milioni di euro una parte dei parchi eolici sviluppati nel Mezzogiorno dalla IPVC; l’azienda che in Sardegna ha sfigurato l'incantevole paesaggio tra Viddalba, Aggius, Bortigiadas.
Tanto che la criminalità organizzata ha cominciato a metterci le mani, come racconta una recente inchiesta de L'Espresso.
Maneggiando tanti soldi diventa fin facile trovare gli spazi (1.500 euro annui di affitto, per MW installato, ai proprietari dei terreni), e convincere le amministrazioni locali (“da contratto” hanno introiti intorno all'1,5% dei ricavati, ma per aiutarle a decidere si ricorre a "donazioni": come a Sanluri, dove la FRI-EL, che sta trasformando il Campidano in un enorme camposanto per ciclopi, aveva promesso 100.000 euro per arredare una scuola).
Questo è quanto si sa.
Così può spiegarsi l’insolita conversione all’ecologia di molti amministratori.
Per finire, due conti.
Per limiti tecnici di cui si è detto, è possibile ottenere da fonte eolica non più del 10 – 13 %, del picco massimo di consumi registrati, che, per via dell'intermittenza della fonte (1600 - 1800 ore annue di vento), si riduce al 3,3% dell'energia elettrica totale. Considerando che quella elettrica è un terzo di tutta l'energia impiegata in Italia, l'eolico permetterebbe una riduzione (del tutto teorica, perché di fatto aumentano) dell'1,1% dei combustibili fossili, ovvero una riduzione delle emissioni di gas-serra (anch’essa teorica) intorno all’1,5%.
Resta da capire se tale riduzione, effettiva solo se proporzionalmente diminuisse il ricorso alle fonti inquinanti, e comunque inferiore all’incremento annuo registrato, compenserebbe l’impatto stravolgente di decine di migliaia di torri in via di installazione sul territorio nazionale.
Resta da capire se, per un artificio contabile che riempie le tasche degli speculatori, svuota le pubbliche casse, e non migliora l’ambiente, si debba devastare il territorio nella sua totalità, come mai prima.
Queste considerazioni acquistano maggior senso in un contesto virtuoso, improponibile alla classe politica, che veda come prioritaria una riduzione dei consumi, quindi dell’utilizzo di energia; delle emissioni; delle scorie; dei rifiuti: unica strada per dare un futuro alla nostra Terra, al Pianeta.
Sarebbe possibile abbattere di una percentuale enorme consumi e sprechi, emissioni in atmosfera, con una campagna capillare che spiegasse a cittadini, imprese, amministrazioni, l’importanza, la necessità inderogabile del risparmio energetico (milioni di persone lasciano la macchina in moto, la luce accesa, il frigorifero aperto, quando non serve; l’inutile illuminazione notturna di città e complessi industriali; impianti di climatizzazione troppo freddi d’estate e troppo caldi d’inverno; di quante cose potremmo fare a meno?), che insista su principi di risparmio, razionalizzazione, riduzione, nella progettazione di edifici, nei trasporti, pubblici e privati, nel traffico aereo e su gomma (da ridimensionare drasticamente), nell’industria. Che sensibilizzi e sanzioni. Che veda tariffe per l’energia crescenti logaritmicamente al crescere dei consumi (ma un minimo vitale garantito a tutti). Criteri da adottare anche nella distribuzione dell’acqua, o per la raccolta dei rifiuti. Che premino sobrietà, risparmio, autosufficienza energetica, riduzione di consumi e rifiuti.
Ma ci vorrebbe una mutazione culturale, un’assunzione di responsabilità verso l’ambiente, le persone e le popolazioni povere, le generazioni future.
La “cultura dominante” è un’altra, e spinge in direzione di un consumo illimitato e suicida.
La "casta" politica al completo, per stupidità, avidità, ignoranza, ha enormi responsabilità, controllando i mezzi di comunicazione di massa, anche negli orientamenti “culturali” delle persone.
Generalizzando, ma non troppo, diremmo che, pur di fronte alla “pedagogia delle catastrofi”, che impone comunque ai governanti di affrontare i problemi (cibo, energia, acqua, rifiuti, effetto serra, mutazioni climatiche), sempre con enorme ritardo, da pagarsi in vite umane, rispetto alle necessità, la soluzione prescelta non sia mai la migliore, in direzione del bene comune, quanto quella che consenta il maggior sperpero di denaro pubblico, l’amministrazione della clientela, la miglior rendita di posizione.
Calati in tale triste realtà, una lotta contro l’eolico può apparire persino grottesca, quando le alternative che la politica può immaginare, nella sua folle corsa verso “la crescita”, “lo sviluppo” (di chi, perché, a prezzo di cosa: siamo maturi per chiedercelo?), si chiamano combustibili fossili (la sensibilità comune pilotata ormai accetta, o rimuove, le stragi di civili, le guerre, per il petrolio) o nucleare (con scorie che si neutralizzano in qualche milione di anni). Ma non per questo dobbiamo tacere su sfasci, devastazioni, speculazioni.
Se gas, petrolio, carbone o nucleare, rappresentano soluzioni anche peggiori, si deve comunque dire che l’opzione eolica, che per suoi limiti intrinseci non può nemmeno dirsi soluzione, tanto più come si configura in Italia, rappresenta l’ennesimo selvaggio, forse definitivo, attacco al territorio, e un temibile assalto alla diligenza del denaro pubblico.
Con nessun vantaggio economico per le popolazioni.
E benefici ambientali trascurabili. Probabilmente nulli.
martedì 22 luglio 2008
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